Quando Gian Piero Gasperini faceva riflessioni sulla funzione del Var e dell’effettiva funzione di supporto all’arbitro in campo, di fatto esprimeva una preoccupazione che è palese e coinvolge gli addetti ai lavori come l’ultimo degli spettatori. Uno sgambetto, voluto o accidentale, è sempre fallo. Un comportamento violento, sotto gli occhi del direttore di gara, può essere passibile di cartellino rosso. Se il pallone finisce sul braccio o viene toccato di mano alterando la dinamica del pallone, è sempre stato fallo tutta la vita. Che l’arbitro possa non vedere un episodio falloso è comprensibile. Che il Var non provveda a richiamarne l’attenzione, invitandolo a una più attenta valutazione sulla base delle immagini oggi disponibili da ogni angolazione, stride con il principio stesso con cui è stata introdotta la tecnologia. Abbiamo assistito di turno in turno a episodi davvero eclatanti. In molti casi l’arbitro si fida ciecamente del Var, da cui può essere tratto in inganno, anche in materia di fuorigioco attivo o passivo. Allora cos’è l’addetto al Var? Un supervisor inappellabile? Allora perché tante sospensioni dopo proteste roboanti e fermi immagine che non lascerebbero dubbi neppure a un bambino? Un ex arbitro dotato di tanto buon senso, come Casarin, sottolinea come il Var sia stato adottato per permettere a chi dirige la partita di andare a rivedere le immagini, e quindi potere eventualmente correggere una decisione o prendere una in funzione di ciò che ha potuto valutare meglio allo schermo. Poi, invece, capitano episodi che incidono sul corretto andamento di partite e campionato. Così è se vi pare, in senso pirandelliano
Malinovskyi a colloquio con l’arbitro Doveri dopo l’annullamento del suo gol per un fuorigioco inesistente (Ph: A. Mariani)