Lo chiamano il Cobra di Lodi e un motivo c’è. Lavorando sottotraccia, come addormentato nella cesta, all’improvviso ecco l’alzata di capo per piazzare l’affarone dell’estate. Otto lunghe stagioni sono tante, l’organigramma rivoluzionato dopo un annetto con l’effetto domino delle dimissioni dell’allora direttore generale Pierpaolo Marino, plenipotenziario che fin lì aveva fatto anche e soprattutto il re del mercato, e e nello scorso inverno con l’ingresso degli americani nel capitale azionario e quasi simultaneamente di Lee Congerton. Giovanni Sartori, che ha optato per un afoso pomeriggio di sabato di fine maggio per congedarsi, nella storia dell’Atalanta rimarrà iscritto a caratteri d’oro, esattamente come l’epoca gasperiniana cui è indissolubilmente legato al netto delle voci ricorrenti sui presunti dissapori tra l’uomo delle trattative e l’uomo di campo. Che adesso, salvo sorpresone, potrà contare sulla longa manus del direttore sportivo in libera uscita da Verona, Tony D’Amico, pescarese di Popoli, 42 primavere e tra i personaggi rampanti del fertile calcio di provincia.
La destinazione del laudense dagli occhi di ghiaccio è Bologna, un downgrade dopo aver preso l’Atalanta quando era ancora colantuoniana, sparagnina e insomma da salvezza, averla vista rischiare con l’interregno di nemmeno un’annata a mezza sotto Edy Reja e infine portata dove non era mai arrivata in precedenza. Perché se la guida tecnica a Bergamo gode del dogma dell’infallibilità che nemmeno il vescovo o il Papa, il professionista delle trattative da tavolino, da albergo e da corridoio, con la sua immagine compìta e raffinata da ex mattatore delle aree di rigore, vincitore da riserva dello scudetto della stella milanista del barone Liedholm nel lontano ’79, fuori da quelle righe di gesso ha sempre dimostrato di avere le stimmate del fuoriclasse. Il miracolo Chievo è qualcosa a tre tra Campedelli, Delneri almeno negli anni d’oro dei Mussi da Europa e proprio lui. Il sessantacinquenne che il 28 maggio dice basta e dice addio.
Dei grandi giocatori arruolati per le delizie del palato fino dei tifosi e della famiglia Percassi è già stato detto tutto. Di figure non irrinunciabili, invece, la lista è piuttosto corta, anche se forse ha il torto di aver avuto inizio col pupillo Alberto Paloschi, tecnicamente ineccepibile ma mai adattatosi al gioco del Gasp né al ruolo squisitamente di facciata del figliol prodigo bergamasco che torna nella sua terra dopo aver solo sfiorato la Dea nei provini preadolescenziali. Ecco, diciamo che Schmidt e Pesic proprio due plusvalenze non sono state. Ma quante centinaia di milioni ne sono state realizzate, in combutta col nume tutelare Gian Piero da Grugliasco, mentre il più costoso di tutti è a oggi Duvan Zapata, 26 milioni e 2 scarsi di ingaggio, il più grande bomber di una vicenda sportiva lunga 115 anni? In bocca al lupo, Giovanni Sartyori, dirigente lindo, educato e riservatissimo, roba da gentleman dei servizi segreti del calcio, con quel morso che non perdona.
Giovanni Sartori con il premio ”Hall of Fame” ricevuto per la categoria dirigenti (Ph: A. Mariani)