A che gioco giochiamo? Già, perché la domanda, più che spontanea, è d’obbligo. La Lega Serie A detta le regole in caso di positività nei rispettivi gruppi squadra delle venti società che danno vita al campionato. Regole che vengono accettate all’unanimità. Poi, alla decisione delle autorità sanitarie locali di imporre la quarantena alle squadre con alto numero di contagiati, rispondono tre dei quattro tribunali amministrativi a cui la Lega Serie A decide di appellarsi, disponendo la sospensione dell’obbligo di quarantena. In questo modo si sancisce il via libera ai giocatori in condizione di scendere in campo. L’Udinese, a quanto pare, accetta a malavoglia, ma il suo allenatore è bravo a mettere insieme undici giocatori di prima squadra e utilizzarne altri due durante la partita con l’Atalanta, lasciando in panchina i giovani della Primavera con cui ha dovuto rimpinguare la distinta. Succede che l’Atalanta fa valere la sua forza e qualità, ma pure che i friulani se la giochino da par loro, impedendo che l’ex udinese Musso se ne stia a braccia conserte. Anzi, accorciano il gap e quando tutto sembra deciso segnano ancora, con impegno e orgoglio. Siccome all’Atalanta non piace tirare i remi in barca, la partita si chiude con un punteggio tennistico. Ma la sostanza non cambia. Le due squadre sono scese in campo per giocare. E quando lo si fa, il risultato va accettato. Non così, evidentemente, per l’Udinese. Passi per le espressioni di Pierpaolo Marino che definisce martiri i giocatori dell’Udinese (perché scandalizzarsi quando papà Djokovic paragona il figlio a Gesù?), prendendosela per la verità con la Lega Serie A. Ma se la dirigenza friulana non era d’accordo che si giocasse, perché presentarsi? In loro assenza, avrebbe avuto un minimo di senso appellarsi al giudice sportivo per giocare la partita e non perderla a tavolino. Invece, ecco arrivare la richiesta di rigiocarla. Ma a che gioco giochiamo?
Nella foto: il primo gol di Maehle con la maglia dell’Atalanta (credits: Alberto Mariani)