“Per aspera ad astra” e ritorno. Dalle asperità alle stelle (l’oro olimpico di Pechino 2008 nella 50 km di marcia) fino al polverone delle vicende doping, una mannaia sulla carriera. Alex Schwazer si è raccontato a cuore aperto al Cus di Dalmine, in occasione dell’ultimo appuntamento di “Time Out – sport festival”. Il 40enne altoatesino, nato a Vipiteno e vive a Racines, “imbeccato” dal giornalista Emanuele Roncalli ha ripercorso la carriera focalizzandosi anche sul presente, sul futuro a medio-lungo termine e su messaggi preziosi per i giovani. Gli otto anni di squalifica, l’attività, la famiglia e la passione sconfinata e mai sopita che gli fa strizzare l’occhio, magari, ad una 10 km in autunno. “La gloria è di chi non si arrende” il titolo già emblematico scelto dagli organizzatori della kermesse (Hservizi e Unica Sport con il patrocinio di Provincia di Bergamo, Università degli Studi, Cus e Coni Lombardia), non ha tradito le attese. E nemmeno l’atleta: “Nel 2012 non è stato l’inizio della fine, ma la fine della fine La mia positività ha rappresentato l’ultimo atto di un percorso nel quale non avevo mai fatto un passo. E da lì sono ripartito. Non avevo alternative e non potevo neppure fermarmi a pensare agli esami delle urine e a tutto ciò che ha comportato la squalifica. Mia moglie Kathrin, i miei figli Ida e Noah e tutte le persone che non mi hanno mai lasciato solo sono state fondamentali”. E quell'”ad astra” ha toccato l’apice nella kermesse a cinque cerchi in Cina, nel 2008: “A metà gara – ricorda – ho pensato di ritirarmi a causa di un’infiammazione. Eravamo arrivati in Cina 12 giorni prima per abiutuarci a temperatura e fuso. Il dolore al piatto tibiale c’era e non mi dava tregua, poi però si cerca di resistere, si va avanti per piccoli traguardi fino ad arrivare all’obiettivo. Oggi credo invece che la marcia, come disciplina olimpica, non avrà un percorso molto lungo”. Alex attualmente esegue test biomeccanici all’interno di un hotel a Merano “per aiutare chi ha fini agonistici o coloro che hanno problemi di salute studiando programmi in grado di farli migliorare”, ma continua a marciare: “Rispetto all’epoca in cui ero professionista però dedico 1/3 del mio tempo. Ho modellato il mio impegno ma la mia passione continua. Logico che sarebbe impossibile pensare di potermi confrontare con gli atleti d’alto livello”. Doppio passaggio peraltro anche in tv, a Pechino Express e al Grande Fratello (“due situazioni che ricordo, entrambe, con grande piacere”) oltre che per il documentario di Netflix (“mi ha messo a nudo, è stato un lavoro splendido”). Spente le telecamere, il messaggio va ai giovani: “Spero mi imitino per ciò che concerne la passione per il mio sport, non per la rigidità con cui ho affrontato gran parte del mio iter. Bisogna volersi bene. Tv? Poco o nulla. Noah ha fatto un danno e si vede male… I social? . I social? Spero che i miei figli, un giorno, non si fissino per avere due followers in più. E l’obiettivo non dev’essere il numero di visualizzazioni altrimenti ci si perde in una competizione virtuale che non esiste e che limita la vita reale”.
Alex Schwazer con il giornalista Emanuele Roncalli (credits: Time Out Sport Festival)