La decisione è ufficiale: prima ancora che termini il mese di marzo, lo stesso in cui il campionato 2025 di Formula 1 è iniziato, c’è già un importante cambio in griglia. Anzi due: già dalla prossima settimana, a Suzuka, Liam Lawson lascerà il volante della sua Red Bull a Yuki Tsunoda prendendone il posto in Racing Bulls. E questa notizia riesce ad essere contemporaneamente clamorosa e fin troppo prevedibile.
È un dato di fatto che la Red Bull si sia abituata da anni a fagocitare i propri piloti, spesso appiedandoli prima ancora di metterli realmente in condizione di mostrare fino in fondo le proprie qualità. Le ragioni sono diverse, ma l’escalation sta ora facendo storcere qualche naso di troppo. Anche quelli di figure centralissime per la squadra.
Partiamo dal principio: dopo aver rilevato la proprietà della Jaguar Racing nel 2005, la Red Bull si è immediatamente imposta come scuderia dalle grandi ambizioni, fondi pressoché sterminati e programmi di scouting che hanno sempre puntato all’esplosione di campioncini cresciuti in casa, da presentare in Formula 1 come pupilli e portabandiera del marchio. Ma questo, oltre a innumerevoli successi, ha generato nel tempo anche profondi problemi.
È così addirittura dal 2010: quell’anno Mark Webber, dal 2007 fulcro del team, arrivò a fine stagione da favorito all’iride. Ma, pur avendo a lungo condotto la classifica, fu costretto a una strategia vincente per la squadra quanto suicida per lui. Il titolo andò a Sebastian Vettel: senza tema di smentite primo, vero fiore all’occhiello del Red Bull Junior Team, in testa al mondiale solo dopo l’ultima gara. Nelle successive tre stagioni l’australiano fu sempre più umiliato dalle scelte della squadra, mentre il compagno dominava. Famigerati i problemi tecnici che attanagliavano sempre la sua Red Bull (su cui si testavano le innovazioni più delicate), fino al caso di Sepang 2013. Vettel, disobbedendo al team, gli strappò una vittoria certa senza pagarne le conseguenze: l’amarezza di Webber fu tale da indurlo a ritirarsi a fine stagione. Già un anno dopo, con Daniel Ricciardo al suo posto, l’anello sacrificabile divenne Seb. Che infatti si trasferì in Ferrari nel 2015.
Fu quindi la volta di Daniil Kvyat, che come da tradizione sembrò inizialmente prevalere su Ricciardo. Un inizio di 2016 con qualche polemica di troppo portò la Red Bull a spostarlo in Toro Rosso (l’odierna Racing Bulls) promuovendo al suo posto proprio Max Verstappen. L’olandese vinse già la gara successiva, a Montmelò, e il russo non riuscì mai realmente a riprendersi da quella batosta. Ma l’effetto domino era appena partito: già nel 2018 Ricciardo, sempre meno protetto dal team, disse basta e andò via. Stavolta però la posizione del suo compagno era talmente consolidata da rendere ognuno dei successivi prospetti del Junior Team degli Icaro dei giorni nostri: attesi, elogiati, destinati a precipitare dopo essersi avvicinati troppo al Sole.
Pierre Gasly e Alex Albon condivisero il box con lo schiacciasassi Verstappen nel 2019 e nel 2020. Sistematicamente chi dei due era in Red Bull risultava a disagio, più nervoso ed esposto a errori banali rispetto al collega della Toro Rosso. Nel 2021 si pescò quindi per la prima volta fuori dal vivaio: ecco Sergio Perez, pilota esperto, veloce e tenacissimo, essenziale per la prima vittoria iridata di SuperMax (indimenticabile il suo «Checo is a legend» ad Abu Dhabi). I tre anni successivi vissero invece sempre lo stesso copione: avvio di stagione molto promettente, crollo verticale e quasi inspiegabile dopo le prime gare. A fine 2024, addirittura, il povero messicano fu più volte umiliato in pista dal successore designato Lawson. Che però ha nel frattempo fatto i conti con gli stessi problemi, se non addirittura maggiori, fino a cedere il campo a Tsunoda. Peccato che il trend sia diventato prima un tormentone e ormai quasi una barzelletta. Tanto da indurre lo stesso Verstappen a contestare apertamente la scelta: la colpa non è dei piloti, ma della macchina. E, forse, delle troppe pressioni interne.
Del resto il team ha trovato in Verstappen la sua gallina dalle uova d’oro, concentrando ogni programma di sviluppo su di lui. Le caratteristiche della Red Bull hanno sempre esaltato il suo stile estremo di guida, che non lascia spazio all’adattamento di nessun collega. Il caso di Perez è il più evidente, visti i crolli sempre a stagione in corso. Ora però non si domina più, e i mondiali rischiano di sfumare: urgono rimedi radicali, che non possono essere bruciare uno o due piloti all’anno. Perfino SuperMax l’ha capito.
Yuki Tsunoda, nuova seconda guida Red Bull in F1 (credits: Oracle Red Bull Racing)