Risale al 4 ottobre 2024 la sentenza della Corte di giustizia UE sul caso del calciatore francese Lassana Diarra, che ha stabilito che alcune regole contenute nel Regolamento FIFA sullo status e sui trasferimenti dei calciatori sono restrittive sia del principio della libera circolazione dei lavoratori (art. 45 TFUE), sia della libertà di concorrenza (art. 101 TFUE). Alla sentenza Diarra e al suo potenziale impatto su politica, su programmi, organizzazione e conti economici delle società di calcio, è stato dedicato il convegno organizzato dal prof. Stefano Bastianon dell’Università degli studi di Bergamo e moderato dall’avvocato Attilio Belloli (ex arbitro e governatore area 2 Panathlon), che ha visto la partecipazione di Andrea Butti (Lega Serie A), Umberto Marino (direttore generale area istituzionale Atalanta), Daniele Muscarà (Associazione Italiana Avvocati dello Sport) e Federico Venturi Ferriolo (LCA Studio Legale).
La sentenza della Corte di giustizia ha riguardato le regole FIFA che fissano i criteri in base ai quali calcolare l’indennità dovuta dal calciatore in caso di risoluzione del contratto senza giusta causa, la responsabilità solidale del calciatore e del nuovo club al pagamento di tale indennità, la presunzione a carico del nuovo club di aver indotto il calciatore a risolvere il contratto senza giusta causa, il divieto per il nuovo club di tesserare nuovi giocatori per due periodi consecutivi di tesseramento se la risoluzione del contratto avviene nel c.d. periodo protetto, nonché il potere della federazione cui appartiene il club il cui contratto è stato risolto senza giusta causa di non rilasciare il certificato internazionale di svincolo a favore del nuovo club.
“Si tratta di una pronuncia di straordinaria importanza e rilevanza – spiega il prof. Stefano Bastianon – potenzialmente in grado di incidere sui rapporti di lavoro tra giocatori e club e di ridisegnare l’intero sistema dei trasferimenti dei calciatori. Una riduzione delle indennità dovute in caso di risoluzione anticipata del contratto di lavoro da parte del calciatore potrebbe, da un lato, agevolare la mobilità dei calciatori ‘sotto contratto’ e, dall’altra parte, incidere negativamente sullo stesso valore attribuito ai calciatori dai vari club, costringendo questi ultimi a rivedere le proprie politiche e strategie fondate sul player trading.”
Come si è arrivati a questa sentenza? Lassana Diarra, calciatore francese, 34 presenze in Nazionale, dopo avere militato in Chelsea, Arsenal, Real Madrid, Olympique Marsiglia e Psg, si trasferisce il 20 agosto 2013 alla Lokomotiv Mosca per 12 milioni di euro firmando un contratto da 6 milioni l’anno. Un mese dopo subisce due cartellini rossi, che lo mandano in crisi. Non partecipa alle sedute di allenamento e resta fuori dalla squadra, poi nel settembre 2014 il club chiede alla Fifa di accertare l’esistenza di una giusta causa per la risoluzione del contratto, condannandolo al pagamento di 20 milioni. In realtà la penale venne stabilità in 10,5 milioni di euro. Anche il Tas di Losanna conferma la decisione della Camera Risoluzione Controversie della Fifa. Diarra intenta una causa davanti ai giudici del Belgio, sostenendo che le regole Fifa sul trasferimento dei calciatori gli hanno impedito di firmare il contratto con il club belga Sporting Charleroi in violazione del diritto UE.
L’aspetto su cui si concentra maggiormente l’attenzione della corte di giustizia europea è contenuto nell’art. 17 del regolamento Fifa. In sostanza, la stessa corte di giustizia europea ritiene che le norme possono sfavorire i calciatori professionisti e rimette al giudice nazionale (nel caso Diarra quello belga) il compito di valutare se le regole sono sproporzionate.
“La sentenza contesta le conseguenza giuridiche e sportive sono contrarie alle norme europee sulla libera circolazione dei lavoratori – osserva Andrea Butti della Lega Serie A – Negli ultimi quindici anni si sono verificati 5 casi in serie A. Il problema è che la Corte di giustizia europea consideri il calciatore non come asset, ma come lavoratore. Si tratta di una visione miope. Un calciatore che firma il contratto è iper tutelato e il suo potere contrattuale aumenta ogni giorno che passa. Se si creasse una libertà di movimento assoluta, verrebbero meno le stesse tutele di cui godono i calciatori. In Italia – aggiunge Butti – tante società che formano giocatori per venderli. Questo processo è parte integrante del sistema e del core business di una società di calcio. Questa sentenza deve essere studiata all’interno del contesto delle squadre di calcio”.
“Mi pare non si presti adeguata attenzione agli interessi delle società e dei calciatori – dichiara il dg atalantino Umberto Marino – Occorre operare, anche a livello di regolamento, per creare un ambiente più sano e trasparente possibile per favorire modelli virtuosi. Le operazioni di mercato sono sempre molto complesse e si vuole evitare sempre il pericolo di contenziosi. Un club non ha la possibilità di aspettare i tempi di una sentenze come quella del caso Diarra. Mi auguro che la Fifa valorizzi l’equilibrio competitivo. Il mondo del calcio e dello sport professionistico in generale va visto con un occhio diverso. Credo che si procederà con grande attenzione su questo tema”. Quanto al settore giovanile, Marino ha spiegato che il primo asset dell’Atalanta, impegnata anche e soprattutto nella crescita sportiva e formativa di chi ne fa parte. “Cancellando il vincolo contrattuale, abbiamo assistito purtroppo alla fuga all’estero di qualche giovane”.
Resta, come scialuppa di salvataggio, l’inserimento di clausole rescissorie nei contratti – secondo Muscarà – al fine di tutelare maggiormente i club almeno fino alla definizione di una disciplina che fissi regole valide globalmente e in grado di tutelare società e calciatori.
Il tavolo dei relatori sul caso Diarra all’Università degli studi di Bergamo (credits: Pernice Editori)