Dal mitico album al pallone tra i piedi in pochi passi. “Con le figurine simulavo le partite sul tavolo di casa usando una pallina di carta, mio papà me le regalava infilandomele in mezzo a Tuttosport che prendeva solo il lunedì. A scuola ce le scambiavamo, come fanno adesso i direttori sportivi a figura intera…”. Tra i sogni di bambino diventati realtà a pelo d’erba, tra memorie familiari e ironia proiettata sull’oggi, Gian Piero Gasperini, l’ex ragazzino che voleva fare il calciatore salvo poi finire a insegnare calcio sulla panchina dell’Atalanta e non solo, ha confessato candidamente di essersi emozionato anche lui a cercare i suoi beniamini. “Pizzaballa mancava anche a me, ma io cercavo Mattrel”, che era il portiere di Boniperti, Sivori e Charles, ammissione sfigguta da juventino puro, da prodotto del settore giovanile, nella serata dedicata al libro sull’epopea della famiglia Panini, quella dell’album più famoso, “L’album dei sogni” di Luigi Garlando, a Daste, presentata da Carlo Canavesi insieme all’autore, al profeta del calcio nerazzurro e al fido vice Tullio Gritti.
Guarda caso, la mitica “mancante” di Pierluigi, che in quell’ottobre del 1963 non poté farsi trovare dal fotografo (“Confermo: ai miei tempi compariva a caso nei ritiri e ti faceva lo scatto col sole in faccia, tanto che venivamo spesso a occhi chiusi, al mattino, ancora assonnati”) perché con la lussazione riportata a Lisbona contro lo Sporting nel ritorno di Coppa delle Coppe in cui quattro portoghesi gli saltarono addosso in uscita, verrà battuta da Aste Bolaffi il 12 maggio insieme ad altri 230 lotti con base d’asta di 200 euro. Quel rettangolino degli eroi, per il Gasp, è stato l’inizio di una passione: “Oggi i ragazzi girano col telefonino in tasca, noi avevamo quello. C’era solo la tv, altrimenti, per poter vedere i nostri idoli. Ricordo il gadget vinto con le ‘valide’, la borsina nera per metterci le scarpe al campo di calcio”.
Una generazione cresciuta a pane, Pizzaballa, Mattrel, Rivera e Mazzola da incollare su una pagina, nel cervello e sul cuore: “Oggi i calciatori hanno molte più conoscenze, ma Tullio e io a vent’anni dovevamo discutere contratti e premi partita senza procuratori, soli davanti a presidenti e dirigenti. Da non dormirci la notte, ma molto formativo: forse oggi i ragazzi difettano in personalità”. Ieri e oggi, le figu e la Dea: “Sono qui da sei anni e questo sport è cambiato radicalmente. Noi pure: i ragazzi del settore giovanile che feci giocare tutti insieme col Napoli quando rischiavo di saltare erano tutti alti, dei corazzieri, delle bestie pronte ad azzannare l’avversario nei primi venti minuti dove spesso eravamo già avanti. Poi, da piccola Bilbao, siamo diventati più internazionali. Ma prima di me c’era l’Atalanta dei marpioni, con le salvezze da conquistare con l’esperienza, mai il passo più lungo della gamba”.
Il momento no nerazzurro riecheggia nelle domande del pubblico. Le risposte del protagonista dalla chioma argentea sono di una chiarezza cristallina: “Mi sono preso male in estate quando un tifoso mi ha detto che invidiava i tifosi del Verona per lo scudetto in bacheca. Lì ho pensato a quanto deve avere sofferto Bergamo e al riscatto che ci si aspettava da noi. Qui c’è grande attaccamento, tanti giocatori che ci sono adesso non lo sanno dopo due anni di stadi vuoti. Se l’Europa ci ha fatti diventare più bravi, stavolta lo siamo stati meno. Abbiamo sei partite per tornare a esserlo”. Un sogno che si stacca dall’album per un connubio che non sembra destinato a spezzarsi: “L’importante è non pensare di avere il copyright di un certo modo di fare calcio, nemmeno la Panini l’aveva sulle figurine. Se stai fermo, scivoli. Ti devi muovere. Per lo scudetto, vorrà dire che ci lavoreremo…”.
Gian Piero Gasperini e la generazione cresciuta a pane e figurine (credits: atalanta.it)