A 72 ore da traguardo degli 81 anni, Giacomo Agostini è stato ospite della Biblioteca dello Sport “Nerio Maranini” di Seriate per parlare di sé e della sua fantastica carriera con Paolo Ianieri, giornalista sportivo nato quando il campione di motociclismo vinceva il suo primo titolo iridato nella classe 500 in sella alla MV Agusta. Nato a Brescia (16 giugno 1942) ma cresciuto a Lovere, Agostini ha raccontato come, pure osteggiato dalla famiglia, sia riuscito a cullare il sogno di correre e trionfare in moto come nessun altro finora. Iniziò tutto con la vittoria con una moto privata nella Trento-Boldone. Come si spiega il talento? “Semplicemente, fai delle cose in modo naturale e che ad altri non riescono”. Ago, un fenomeno con i piedi per terra. “Non si rifiuta un autografo o una fotografia. E’ la dimostrazione che ti ammirano”. Ed è felice di avere raggiunto risultati da capogiro nell’epoca che ha contrassegnato la sua vita sportiva. La moto oggi? “Troppa elettronica, toglie troppo alle capacità che il pilota è chiamato a esprimere. Lo spettacolo non dipende dall’andare a 300 km all’ora. Bisogna correre con intelligenza e guidare osando ma sempre conoscendo i propri limiti”. La cadute? “Oggi ce ne sono troppe, per fortuna i dispositivi di sicurezza e protezione evitano il peggio”. Giacomo Agostini ha vinto dieci volte il Tourist Trophy, la gara considerata più pericolosa, sull’Isola di Man, dove smise di correre nel 1972 in seguito alla morte del suo caro amico Gilberto Parlotti. La gara da ricordare? “La mia prima vittoria con la moto privata, agli esordi. Poi, certo, nel 1966, quando ho vinto a Monza il mio primo campionato del mondo”. Quindici titoli iridati, 123 gran premi vinti e 162 volte sul podio. Racconta che uno dei ricordi più belli è legato alla vittoria in Belgio, dove accorrevano a vederlo i minatori italiani, orgogliosi il giorno dopo di scendere nelle profonde gallerie a testa alta. Ma anche la sorpresa di trovare centomila italiani ad attenderlo a Melbourne. Un’offerta respinta? Quella di Enzo Ferrari per guidare la quattroruote del Cavallino (ma a fine carriera è scattata la scintilla per una breve esperienza, correndo in Formula 2 e in Formula Aurora, l’anticamera della Formula 1) e un’altra del regista Pietro Germi per un film che lo avrebbe costretto a rinunciare a correre il mondiale. Lasciata la MV Agusta, in sella alla Yamaha vinse nel 1974 a Daytona, surclassando l’americano Kenny Roberts, il quale riteneva di essere il vero campione del mondo di motociclismo. E’ tempo di pensare agli eredi dei nostri giorni (“Bagnaia sta facendo molto bene, perché sa preparare ogni gara”), ma anche alla futura eredità di storia e cimeli da tramandare. Quella che Agostini ha creato privatamente e che chiama “sala delle coppe” potrebbe diventare qualcosa da mostrare al grande pubblico. Qualcuno ci sta pensando.
Giacomo Agostini a colloquio con Paolo Ianieri alla Biblioteca dello Sport “Nerio Marabini” (credits: Pernice Editori)