Federico II Gonzaga, Duca di Mantova e Marchese del Monferrato, aveva scelto il ramarro come simbolo di resilienza. A suo tempo, si pensava che questo simpatico rettile fosse in grado di attraversare il fuoco senza bruciarsi. E così – ancora oggi – ce ne sono molti nella splendida cornice di Palazzo Te a Mantova. Era di quelle parti Tazio Nuvolari, a cui Lucio Dalla ha dedicato una delle sue canzoni più iconiche. In un passaggio lo paragona al ramarro per la sua capacità di tirarsi sempre fuori dai guai, anche dopo un incidente quasi mortale. La metafora del ramarro ben descrive la carriera di Matteo Berrettini, e dà il titolo a un capitolo del libro “Matteo Berrettini. The Hammer” di Riccardo Bisti, uscito nell’ottobre 2022 e che mantiene una solida struttura narrativa, a maggior ragione in un momento – quello attuale – in cui Berrettini si sta risollevando ancora una volta. Dopo i sei mesi di stop per la storta alla caviglia patita allo Us Open, la finale al ricco Challenger di Phoenix e i buoni risultati al torneo ATP di Marrakech gli aperto la strada al ritorno tra i top-100 ATP, linea di passaggio per una seconda parte di carriera tutta da scrivere. Lo dice la storia: sin da giovanissimo, Berrettini è stato vittima di infortuni di vario genere e gravità, che ne hanno spezzato la carriera. La vicenda agonistica di Berrettini assomiglia a una fisarmonica: momenti di gloria alternati a sofferenze e lunghi periodi di stop.Essendo una persona particolarmente sensibile, ne ha sofferto molto. Più del dovuto. Allora stesso tempo, ha evidenziato un attaccamento al gioco e alla professione, uniti a un enorme rispetto per se stesso, che lo hanno portato a diventare il primo (per ora unico) italiano ad arrivare in finale a Wimbledon, persa soltanto contro l’allora inarrivabile Novak Djokovic. Per tre anni è rimasto stabilmente tra i primi dieci al mondo, prima che il fisico gli chiedesse il conto. È poi finito nelle pagine delle riviste dei gossip per la relazione con la showgirl Melissa Satta: per questo, qualcuno lo aveva già dato per finito. Ma qui viene fuori il ramarro: mai dare per morto Matteo Berrettini, anche perché possiede una combinazione micidiale nel tennis di oggi: servizio + dritto. Con queste armi – per citare Rino Tommasi – può ancora essere “da corsa” per i grandi tornei, Wimbledon su tutti. A quasi 28 anni (li compirà tra qualche giorno), Matteo sa che ogni futura soddisfazione avrà doppia valenza. Per se stesso, naturalmente, ma anche per tutti quelli che lo avevano dato per finito. Evidentemente non sapevano quanto sia forte e resiliente lo spirito di un ramarro. E forse non conoscevano a dovere la storia di Berrettini raccontata nel libro, in cui si svelano aneddoti sconosciuti (dal modo in cui si sono conosciuti i genitori, fino a curiosi aneddoti sul suo periodo alle scuole elementari) e le modalità che lo hanno portato a diventare The Hammer, il martello del tennis mondiale. Tutto questo è stato possibile grazie a Vincenzo Santopadre, coach-papà che lo ha accompagnato dal 2010 fino a pochi mesi fa, e che ha guidato la narrazione del racconto svelando aneddoti ed episodi che hanno permesso a Berrettini di ottenere quello a cui aspira ogni giovane professionista del tennis: raggiungere il massimo del proprio potenziale. In pochi possono dire di avercela fatta.
Risollevatosi dall’ennesimo infortunio, Matteo Berrettini è ripartito ancora una volta, smentendo chi lo dava per finito, perso nei meandri del gossip. Ma evidentemente non conoscevano la sua storia, narrata in un libro che oggi è più attuale che mai (photocredits: © 2024 Frey/TPN)