“L’undici sentimentale dell’Atalanta? Anche senza quel libro, niente e nessuno avrebbe potuto non farmi sentire parte della famiglia che ho lasciato a Bergamo”. Da “Una Dea senza tempo” all’Accademia dello Sport per la Solidarietà, Cesare Prandelli conserva il cambio di passo da mediano per sbucare dalle pagine delle dodici mini biografie per raccontare il senso della sua lunga avventura col pallone: “Sì, ma non fatemi giocare a padel. Antonio Cabrini sostiene di esserci ringiovanito. Io faccio fatica a rincorrere i miei nipotini, figuriamoci una pallina”.
L’ex ct azzurro rincorre le memorie personali da giocatore e poi formatore del vivaio con l’Atalanta stampata nelle pupille e nel cuore: “Mia figlia è nata qui, come mediano ho avuto i Bortolotti alla presidenza, quindi il primo Antonio Percassi quando vincemmo lo scudetto Primavera. Mettiamoci anche i Ruggeri: questa società ha sempre saputo scegliere chi avrebbe dovuto programmarne il futuro. Mino Favini come nome basta e avanza. Di uno Scalvini non ci si deve stupire”.
La sua era la Dea dei bergamaschi, quella dell’attualità si è americanizzata: “Aver indotto Pagliuca e soci a interessarsi del prodotto investendoci su è un orgoglio, un onore. Bando ai campanilismi: il calcio è sempre più globalizzato. Ci si deve muovere e bisogna operare in tutt’altra dimensione”. La sua, quella dell’orceano cresciuto alla Cremonese col Bell’Antonio, era da guru di provincia: “Ma con Emiliano Mondonico in sella e Cesare Bortolotti al vertice, un fratello, ma guai a farsi portavoce della squadra per chiedergli i premi partita, l’Europa la conoscemmo anche noi. A dispetto di quanto leggo in giro, io allenatore in campo non mi ci sentivo proprio: erano Barcella e Bonacina a farmi sospettare quale strada avrei battuto, vendendo ogni volta nella mia stanza a chiedermi consigli”.
Ne avrebbe avuti tanti da darne a un paio di generazioni di assi atalantini in erba, da Morfeo a Tacchinardi passando per Poloni e gli Zenoni: “Mirco e Damiano giocano bene a tennis, li ho rivisti con piacere. Damiano tiene botta con gli scambi prolungati e li vince, uguale a quando giocava”. Se c’è un segreto nella realtà che fa battere il cuore a tutti i bergamaschi, Prandelli lo conosce fin troppo bene: “Chi allena, soprattutto il vivaio, è in missione. Le carriere personali poi possono evolvere. Ma se stai lì, come ai miei tempi Vavassori, Modanesi e Perico, hai il futuro tra le mani. Il decennio degli anni Novanta ha gettato le basi per l’Atalanta di adesso. E poi è arrivato Gasperini a spiegarla a tutti: ha fatto la storia, bisognerebbe inchinarsi”.
Cesare Prandelli, ospite dell’Accademia dello Sport per la Solidarietà, con Giovanni Licini (credits: ufficio stampa Accademia dello Sport per la Solidarietà)