Le Olimpiadi di Roma 1960 continuano a fare la storia e ad essere ricordate come le più affascinanti del dopoguerra. Appartiene all’epica dell’atletica leggera la corsa a piedi nudi di Abebe Bikila lungo l’Appia Antica. Trionfando nella maratona, l’etiope divenne il primo atleta africano conquistare una medaglia d’oro nella rassegna a cinque cerchi. Un passaggio epocale, che su suggellato dalla cerimonia di premiazione, nel corso della quale Lord David Burghley, allora vice-presidente del CIO e presidente della IAAF, mise al collo la medaglia coniata con il metallo più prezioso. Gesto che avrebbe segnato l’inizio di una nuova epoca per lo sport. Un incontro e una stretta di mano consumatisi in un tempo breve, eppure assai intensi e significativi. Per questo il giornalista Gianluca Morassi ha preso spunto per raccontare in un libro il momento del cambiamento nell’atletica leggera. «Bikila & Burghley. 1960, Olimpiadi di Roma», edito da Bolis, è stato presentato nella sede della Biblioteca dello Sport «Nerio Marabini» di Seriate, dove il padrone di casa Paolo Marabini, caposervizio de La Gazzetta dello Sport, ha dialogato con l’autore. Ed è stato un viaggio, seguendo la traccia del libro, nei giorni delle Olimpiadi romane, in cui la vittoria di Bikila sulle strade dell’antico impero valeva il riscatto di un popolo sottoposto a colonialismo e in generale dell’intero continente africano che da allora in poi sarebbe diventato protagonista, in particolare nell’atletica leggera. Furono anche i Giochi di Livio Berruti, vincitore dei 200 metri, e Cassius Clay, che avrebbe dominato la scena mondiale della boxe diventando personaggio oltre il ring. Bikila avrebbe replicato a Tokyo 1964, ma le immagini di Roma e della sua cadenza sciolta illuminata dalla torce sono di un romanticismo irripetibile.
Gianluca Morassi, autore del libro, con a fianco Paolo Marabini e Cesare Bolis (credits: Biblioteca dello Sport “Nerio Marabini”)