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GiBi Baronchelli 80 vittorie prima di scalare la fede

19 Ottobre 2024

Eugenio Sorrentino

C’è un campione del ciclismo che mezzo secolo fa ha sfiorato, da giovanissimo, una storica impresa, e oggi pedala ogni giorno spinto dalla fede prima che dalle gambe, coprendo i 5 km che tra la sua casa e il Santuario di Caravaggio. E’ Gian Battista Baronchelli, detto Tista, il quale ha iniziato a correre tra i professionisti quando si stava concludendo l’epopea di Merckx e Gimondi, che lui ha ammirato prima di correre al loro fianco, costruendo una carriera durata tre lustri dal 1974 al 1989, nel corso della quale ha trovato un altro mostro come il francese Hinault. “Ho vinto 80 corse”, ha ricordato Baronchelli, intervistato dal giornalista Paolo Marabini di fronte alla platea che ha riempito la sala della Biblioteca dello Sport “Nerio Marabini” di Seriate. Ma avrebbe potuto essere assai più vincente, pagando forse l’essere troppo schietto e istintivo. “Non ho mai avuto la dote della diplomazia e oggi capisco che avrei dovuto essere più ragioniere”. 

Classe 1983, sangue bergamasco, famiglia originaria di una frazione di Oltressenda, frazione Nasolino, in alta Valle Seriana, madre scalvina che non sapeva andare in bicicletta, settimo di nove fratelli. GiBi viene ricordato soprattutto per due secondi posti, quello nel Giro d’Italia 1974, da neo professionista, alle spalle del cannibale Merckx per soli 12 secondi, e nel 1980 al mondiale di Sallanches, quando fu l’ultimo a mollare la ruota di Bernard Hinault. Ma ha costruito pure tanti successi. Le imprese più belle quando c’erano condizioni meteorologiche avverse. Nel 1977 vinceva il Giro di Lombardia, disputato sotto la pioggia incessante dopo sette ore di corsa e con il lago di Como tracimante. Il bis nel 1986, battendo Moser che indossava la maglia iridata conquistata un mese prima. I rapporti con il campione trentino non sono mai stati idilliaci. La rivalità con Moser si era ancora di più accesa dopo la vittoria di GB in una tappa della corsa rosa a Pinzolo. Poi si sono ritrovati insieme nella stagione 1986. Oggi, ride delle accese dispute dialettiche che un tempo lo facevano arrabbiare, ammettendo che Moser produce un ottimo vino.

“Ho iniziato a 15 anni, seguendo le orme di mio fratello Gaetano. Sono esploso al primo anno da allievo nel 1970. Conservo due record: il giro e tour per dilettanti vinti nello stesso anno e il filotto di sei successi consecutivi al Giro dell’Appennino, dal 1977 al 1982” – ricorda Baronchelli, riassumendo alcuni dei momenti più significativi della sua carriera Memorabile la tappa delle Tre Cime di Lavaredo, vinta da Fuentes, quando GB provò ad attaccare il Cannibale. “Sono arrivato dieci volte tra i primi 10 al Giro, senza riuscire a vincerlo. Un mese dopo il Giro 1974, fui vittima di una brutta caduta”. I giornali lo hanno dato spesso per finito, perché i risultati non arrivavano. “Una crisi di fame mi impedì di rincorrere la vittoria al Tour. Nel 1978 potevo vincere il Giro ma non mi fu consentito di andare a riprendere De Muynch. Quando ho indossato la maglia rosa, nel 1979, la dedicai a mio padre, che era scomparso senza vedermi conquistarla. La tenni per due giorni prima che finisse a Saronni. Mi ritirai, da terzo in classifica, dopo la tappa di Foppolo. Non rendevo al massimo quando faceva caldo e sono stato condizionato dall’epatite. Quando ho smesso di correre, non ero contento di come fosse andata la mia carriera”. Il 6 aprile 2011, quando è mancata la mamma, lui credente tiepido si è avvicinato ancora di più alla fede. E lui, con tre figli e quattro nipoti (“si fa più fatica con loro che scalare lo Stelvio”, dice con amorevole simpatia), considera la completa conversione la vittoria più importante della sua vita. “Tutte le mattine una tappa al Santuario di Caravaggio, distante 5 km da casa. Quando vado in bici, recito sempre il rosario, così alleno lo spirito oltre che il fisico”.

Gian Battista Baronchelli con Paolo Marabini durante l’incontro alla Biblioteca dello Sport “Nerio Marabini” di Seriate (credits: Pernice Editori)

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