Lo sport è fatto di valori ma a anche di diritti. Sotto questo aspetto, l’avvocato Cesare Di Cintio rappresenta un punto di riferimento, come ha riconosciuto anche l’ADICOSP che gli ha conferito un premio speciale per il lavoro profuso dal suo osservatorio sportivo-legale.
Il calcio resta lo sport più seguito e praticato, ma necessita di tutele. Quali secondo lei?
“Le tutele sono a 360 gradi nel calcio come negli altri sport. Innanzitutto, di natura giuslavoristica, dato che parliamo almeno per il mondo dei professionisti di contratti di lavoro. Poi, per quanto riguarda l’aspetto delle società, ovviamente c’è tutto un tema che riguarda i rapporti con i broadcaster, con la federazione, con gli sponsor, con gli altri stakeholder del mondo sportivo, che devo dire impegnano molto chi si occupa di questa materia. Io dico sempre che non esiste il diritto sportivo, esiste il diritto applicato allo sport. Quindi, non è esiste una materia che si chiama diritto sportivo. La società sportiva ha particolari esigenze e in particolari situazioni lo sport ha dei trattamenti di carattere normativo differenti. Da lì nasce la specializzazione”.
Uno dei temi più ricorrenti in tema di diritto è quello dell’inclusione, come va interpretato nella dimensione sportiva?
“Sono molto contento che ultimamente sia il legislatore statale che il legislatore sportivo hanno recepito il concetto, anche a livello normativo, della salvaguardia, sia dell’attività dei minori nell’ambito dei settori giovanili, sia nell’ambito delle persone che sono esposte a non essere libere dello svolgimento dell’attività sportiva. L’articolo 33 del decreto 36 del 2021 ha regolato la materia del safeguarding, cioè proteggere i deboli anche all’interno dello sport. I deboli non sono soltanto i minori, anzi sono una parte fondamentale, ma i deboli sono anche coloro che nell’ambito della disciplina sportiva magari possono subire dei condizionamenti; questo non deve accadere. Il legislatore statale è intervenuto scrivendo una norma sul punto, che è stata recepita poi dagli organismi sportivi, sia a livello CONI, sia nell’ambito delle varie federazioni. Secondo me, il percorso verso l’integrazione e verso uno sport per tutti è cominciato. Certo, non ci si può fermare ai principi di diritto che sono sanciti dalle norme, ma bisogna applicarli giornalmente. In questo devo dire che l’inizio non è negativo, anzi”.
Lei è intervenuto sull’organizzazione della Serie C, in cui giocano club con bacini di Serie A combinate con squadre semidilettantistiche, come lei stesso ha sottolineato. Come immagina il riassetto?
“Io penso che la struttura che c’era tempo fa era una struttura perfetta. Avevamo una C1, avevamo 40 club che si potevano permettere un campionato anche con dei costi sostenuti e poi avevamo una C2 che era una categoria più cuscinetto. La C2 era una fase di apprendistato per poter poi passare al calcio un po’ più impegnativo a carattere economico. La soppressione della C2, secondo me, ha causato un salto triplo, direi quasi mortale, per chi passa dal mondo dei dilettanti al mondo dei professionisti, perché i costi vengono duplicati e i ricavi non sono in grado di pareggiare i costi. Quindi, il tema è una riforma dei campionati che ci deve assolutamente essere e non è più rimandabile, assolutamente”.
Giovani e vivai. Di quali diritti devono godere i giovani calciatori?
“Innanzitutto, il giovane calciatore deve essere lasciato libero di esprimersi e deve essere accompagnato nella sua attività. Oggi chi pretende il risultato dal giovane, lo rovina. In questo, le federazioni devono essere vigili perché il giovane lasciato libero di esprimersi può maturare con calma, può crescere e può arrivare a un punto della propria carriera in cui raggiunge la maturità. Però, c’è anche da dire che la maturità non tutti la raggiungono allo stesso momento. Ci sono giocatori come Lamine Yamal, che l’ha raggiunta a 16 anni, e giocatori come Luca Toni, che è arrivato in Serie A a 27 anni e poi è diventato campione del mondo. Ognuno ha il suo percorso, ognuno ha i suoi tempi di maturazione. Questo ci tengo a sottolinearlo, sono molto attento alla tutela dei giovani e credo che sia importante, sia per chi gestisce i giovani dal punto di vista societario, sia per le famiglie non mettere pressione ai giovani. Mi riferisco soprattutto a questo caso, spesso sono le famiglie che mettono pressione ai giovani, che invece devono essere messi nella condizione giusta; e poi non tutti diventano giocatori, ma tutti devono avere l’opportunità di diventarlo senza stress. Credo sia fondamentale trovare per ogni giocatore, per ogni atleta, per ogni soggetto che fa agonismo il percorso tecnico giusto. Mi piace usare la definizione di progetto tecnico. Mi piacerebbe vedere progetti tecnici sempre più spesso per quanto riguarda i giovani e lo sviluppo dello sport in varie discipline. Il progetto tecnico per me è la base di tutto. L’Atalanta è una società che ne ha fatto il centro del progetto tecnico e i risultati li abbiamo visti negli anni”.
In ultimo, se dovessimo pensare a una riforma, quali regolamenti andrebbero rivisti o ritoccati?
“La riforma secondo me innanzitutto deve essere nei campionati. Inoltre, interverrei sulla riforma dei campionati giovanili. Per esempio, ci sono società che disputano il campionato primavera e che si possono trovare a retrocedere dalla categoria principale, che è quella professionistica di Serie C, a quella di Serie D, e possono avere una primavera molto competitiva. In questi casi, la retrocessione della prima squadra implica anche l’esclusione dal campionato primavera di riferimento. Andando a castrare sostanzialmente il progetto sportivo. Per questo ritengo necessaria una riforma sia dei campionati professionistici che di quelli giovanili”.
Il conferimento del Premio Speciale per la categoria Sport e Diritto all’avvocato Cesare Di Cintio, in occasione della sesta edizione del Gran Galà del Calcio ADICOSP